lunedì 25 settembre 2023

Le migrazioni in Europa: l’unicità del caso tedesco (II° Parte)


 

 

di Rodolfo Ricci (FIEI)

La Germania è da oltre un secolo uno dei più grandi “paesi di immigrazione”; per lungo tempo i vari governi rifiutarono questo appellativo, impegnati come erano a considerare e a rendere congiunturali i flussi immigratori che incentivavano in corrispondenza dei cicli di crescita mentre li disincentivavano nei periodi di crisi favorendo i rientri: l’invenzione del Gastarbeiter (lavoratore ospite provvisorio) fu la sintesi letterale di questa impostazione di lunga durata.

Soltanto da circa venti anni questa politica è cambiata con l’introduzione di una legislazione progressivamente più aperta e anche in considerazione del fatto che una volta acquisite competenze e saperi alla cui formazione non si è investito direttamente e di cui si dispone liberamente, è meglio tenersele in casa: ciò costituisce un guadagno oggettivo e in un’economia sempre più fondata sulle competenze e sempre meno su braccia come appendici di macchine, questo fattore è determinante.

La nuova legislazione in corso di definizione sta puntualizzando queste acquisizioni e attraverso di essa la Germania si predispone a programmare e gestire le politiche migratorie dei prossimi decenni con l’obiettivo di stabilizzare la sua popolazione e il suo potenziale economico.

Una più approfondita conoscenza del caso tedesco ci consente di comprendere meglio le dinamiche interne all’Unione Europea. E potrebbe anche aiutare a modificare in meglio l’approccio italiano all’immigrazione, stabilmente caratterizzato da una controproducente emergenzialità.

La sottovalutazione della nuova emigrazione e l’accentuazione dell’immigrazione (solo come problema securitario) è purtroppo parte costitutiva della vicenda nazionale degli ultimi anni. Invece sarebbe auspicabile una valutazione parallela dei due fenomeni per quello che essi denotano dal punto di vista della loro genesi e per quello che possono comportare nei loro effetti, possibilmente evitando approcci ideologici.

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Prima parte:  QUI

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Nella Tabella 1) possiamo osservare i flussi registrati in Germania, da e per l’Italia, con relativi saldi nel periodo 1964-2021, 2000-2009 e 2010-2021. (Si veda anche la Tabella 6 in appendice che riassume comparativamente i dati dei movimenti migratori annuali dall’Italia alla Germania dal 1964 al 2014 secondo i dati Istat e secondo i dati dello Statistisches Bundesamt di Wiesbaden).

E’ qui rappresentata una parte significativa della lunga storia di emigrazione italiana verso la Germania, una sorta di dato strutturale delle relazioni economiche tra i due paesi nell’arco di quasi 60 anni, delle loro caratteristiche e delle qualità dei due modelli di capitalismo: in questo spazio di tempo, sono approdati sul suolo tedesco per viverci e lavorare per periodi più o meno lunghi, oltre 4 milioni di persone provenienti dall’Italia.

Una quantità notevole con saldi migratori di una certa consistenza. Significativo che il saldo migratorio “guadagnato” dalla Germania a spese dell’Italia soltanto negli ultimi 12 anni sia di circa 250mila persone equivalente ad una città delle dimensioni di Verona o Venezia, (una città, beninteso, fatta in massima parte di giovani, di cui circa 1/3 laureati, ecc.), mentre, nel decennio precedente il saldo migratorio era a vantaggio dell’Italia a causa dei rientri delle precedenti ondate.

I dati mostrano la sequenza delle ultime grandi fasi emigratorie del dopoguerra (che si chiudono tra gli anni ‘70 e ‘80) e, per l’ultimo periodo considerato, la sua ripresa a seguito degli effetti della crisi dei mutui sub-prime del 2007-2008 che ha innescato, in particolare dal 2010, la nuova massiccia emigrazione italiana nei primi anni del secondo decennio.1

 

Qui, vale però la pena comprendere meglio, al di là degli effetti della crisi e la ripresa dei flussi italiani, l’approccio politico-economico complessivo di un paese, la Germania, che dagli inizi del secolo e in particolare nel secondo decennio, ha prodotto una performance di acquisizione di risorse umane impressionante, con un saldo positivo di oltre 6 milioni di persone dal 2000 al 2021, di cui oltre 5 milioni e mezzo solo negli ultimi 12 anni; la Tabella 2) illustra i movimenti di tedeschi e stranieri nei due primi decenni del secolo, con i relativi saldi migratori:

 

 

Come si vede, nel corso del primo ventennio del secolo sono arrivati in Germania oltre 21 milioni di persone, conferendo al paese oltre 6,5 milioni di saldo immigratorio positivo; ma solo tra il 2010 e 2021 ne sono arrivati quasi 15 milioni per un saldo di oltre 5,6 milioni (cioè oltre l’86% dell’intero periodo 2010-2021). Pur in presenza di un saldo emigratorio negativo di cittadini tedeschi di una certa consistenza, il guadagno demografico è di oltre 6 milioni nel ventennio di cui oltre 5 milioni tra il 2010 e il 2021.

Nella seguente Tabella 3) possiamo invece vedere l’entità dei flussi con i relativi saldi migratori tra Germania e paesi UE-27 per i periodi indicati. Gli effetti della “libera circolazione” delle forze di lavoro in un contesto di squilibrio economico-finanziario e di forti differenziali di produttività tra paesi, sono evidenti; il fatto che quasi la metà dei saldi positivi complessivi sia stato acquisito grazie a flussi di immigrazione intra-europea (dall’ est e dal sud) e non dagli arrivi da Medio Oriente, Asia o Africa, come si è soliti pensare, è un altro dato significativo, quanto frequentemente tenuto ai margini delle riflessioni e delle indagini, probabilmente perché registra un’immagine di U.E. non del tutto auspicabile. Allo stesso tempo, la comparazione tra le tabelle 2) e 3) ci permette di vedere che l’immigrazione da paesi europei verso la Germania è pari ad oltre il 61% del totale nel periodo considerato. Ed è infine imponente il numero di coloro che sono arrivati in Germania dall’Europa nei 57 anni che vanno dal 1964 al 2021: quasi 27 milioni.

 

 

La Tabella 4) illustra invece flussi e saldi migratori tra Germania e quesi paesi E.U. che hanno devoluto almeno 100mila unità nell’ultimo decennio (in appendice, alla Tabella 5, l’elenco completo) e rende chiaro lo svolgimento delle dinamiche economiche e demografico-migratorie nell’Unione nei periodi presi in considerazione. Come si vede, nel periodo 2010-2021 l’Italia fornisce alla Germania il quarto contributo immigratorio netto dopo Romania, Polonia e Bulgaria; i maggiori flussi di arrivi per tutto il periodo 1964-2021 provengono da Polonia (paese confinante) e Italia; a seguire dalla Romania. Per tutti i paesi presi in considerazione è l’ultimo decennio quello caratterizzato da maggiori flussi e maggiori saldi immigratori positivi per la Germania, a testimonianza dell’impatto durissimo della crisi del 2008-’11 sui paesi periferici e alla loro strutturale compenetrazione (e dipendenza) dall’economia tedesca attorno a cui sembra orbitare tutta l’area est e sud europea.

Allargando lo sguardo al resto del mondo bisogna ricordare che in questo ventennio questo paese è stato il maggior accettore di emigrazione proveniente dalle aree di grandi crisi geopolitiche e di guerra: dal 2000 al 2021 la Siria ha fornito alla Germania un saldo positivo di 740.894 persone, l’Irak 252.483, l’Afghanistan 269.186; lo spazio ex-Jugoslavo 538.418, mentre lo spazio ex-sovietico nel suo complesso, inclusa la parte asiatica, ne ha fornito 1.057.920, proseguendo il trend degli imponenti arrivi di milioni di Aussiedler e Uebersiedler di origine tedesca che erano giunti dopo il 1989 da Russia, Ucraina e dalle repubbliche centro-asiatiche dell’ex Unione sovietica. 2 3

Si vedrà se questa configurazione è destinata a perpetuarsi in presenza della novità (molto negative) dello scontro Nato-Russia e alla forzata rinuncia agli approvvigionamenti energetici di gas a basso costo che erano assicurati dal Nord Stream e che sta portando alla crisi e alla chiusura di migliaia di imprese, oppure se la nuova situazione consentirà alla Germania di continuare, come programmato, nell’incentivazione di flussi di immigrazione selezionata4 alternativamente anche da territori extra-europei – in ogni caso agli stessi ritmi del decennio trascorso se si vuole mantenere più o meno stabile la popolazione residente ed integra la capacità produttiva potenziale del paese. Ma ormai le scelte non sono più solo in mani tedesche; gli effetti dell’attuale crisi si trasferiranno direttamente anche alle economie dipendenti o legate alla Germania; potrebbero anche comportare la permanenza di flussi nella stessa direzione, se permarranno, come presumibile, differenziali relativi di un certo peso; altrimenti i movimenti di persone dai paesi periferici del sud e dell’est Europa potrebbero prendere, almeno in parte, altre direzioni, in corrispondenza di quelle aree che registreranno una migliore performance rispetto alla riconfigurazione (da vedere se a blocchi conflittuali come intenderebbe la Nato o su nuovi equilibri multipolari come proposto dai Brics) delle catene del valore in cui sembra doversi ricomporre lo scenario globale.

Sarà interessante verificarlo nei dati dei prossimi anni che riguarderanno i paesi emergenti del sud America e del Medio e Estremo Oriente, oltre a quelli del nord America e dell’Australia: nello scenario di nuovi blocchi contrapposti sembra evidente che si produrrebbe un declino complessivo non solo della Germania, ma dell’intero continente, con la probabile apertura di nuove rotte emigratorie extra-europee.

 

TABELLA 4)

L’esempio tedesco ci dice molte cose, direttamente e indirettamente: intanto conferma l’ordine dei rapporti tra centri e periferie e la sostanziale validità delle relazioni di dipendenza che si registrano anche tra paesi sviluppati e che emergono anche dai movimenti di grandi masse di persone.

Dal punto di vista della capacità di programmazione delle politiche migratorie ci dice anche che non vi sono limiti assoluti di capacità di accoglienza e integrazione; essi sono piuttosto relativi alla dimensione economica e alla necessità/capacità di pianificazione centrale e burocratica di accoglienza e integrazione a capo di ogni sistema-paese, una funzione e una scelta eminentemente politica. Per l’Italia c’è molta materia da approfondire.

La capacità della Germania di programmare fin dalla fine del secolo scorso la quantità di ingressi che abbiamo osservato (che implicano tutta una serie di importanti misure di integrazione ad ogni livello: linguistica, scolastica, sociale, formativa e lavorativa), l’intenzione di proseguire e di perfezionare questo modello anche per i decenni a venire – come preannuncia l’approntamento di nuove leggi – confermano, se ce ne fosse bisogno, che le immigrazioni costituiscono un fattore strategico centrale per ogni paese che miri a mantenere o a conquistare una sovranità sul proprio futuro e a non cadere nella spirale della riduzione di popolazione con ciò che ne consegue.

Le attuali dinamiche demografiche e l’ingresso in un imbuto di crisi sovrapposte a diversi livelli suggeriscono l’opportunità che questa ricerca di futuro con cui ogni paese è costretto a confrontarsi sia misurata e negoziata con chi ci sta intorno, cioè cooperativa. E che non dovrebbe essere devoluta a soggetti esterni. Vi sono scelte e responsabilità da esercitare, cambiamenti strutturali da operare a partire dall’orientamento della spesa pubblica e dell’acquisizione delle risorse necessarie (per contenere l’emigrazione e incentivare l’immigrazione), quindi del sistema fiscale e di tassazione: se l’investimento sulle persone è strategico c’è bisogno di una rivoluzione nel modo di pensare il reperimento e l’allocazione delle risorse. E anche di un altro modello di impresa privata che condivida prospettive che riguardano l’intera società non la massimizzazione del profitto a breve termine. L’orientamento dogmatico all’export dei sistemi produttivi, ad esempio, andrebbe mitigato e conciliato con la necessità di crescita del mercato interno, cosa che costituisce tra l’altro un’opportunità anticiclica nelle fasi più turbolente.

Allo stesso tempo, rispetto al contesto comunitario, si imporrebbe una riconsiderazione delle politiche di coesione territoriale: una UE in balia dei liberi movimenti di capitale con annessa piena devoluzione al mercato della sua capacità di programmazione non sembra avere futuro.

 

Rodolfo Ricci (Fiei), Agosto 2023

NOTE:

 

1Gli Italiani in Germania: ancora un Reservarmee per il mercato del lavoro tedesco? (Edith Pichler) – URL: https://www.neodemos.info/2017/07/11/gli-italiani-in-germania-ancora-un-reservarmee-per-il-mercato-del-lavoro-tedesco/

2 – Sulle conseguenze demografiche nei paesi dell’est Europa e dei Balcani dei flussi emigratori post 1989 si rimanda all’importante Dossier “Uno sconvolgimento demografico in Europa” – Le Monde diplomatique/Il Manifesto del 18 giugno 2018, pp. 11-16 – (Philippe Descamps, Jean-Arnault Dérens e Laurent Geslin, Corentin Léotard e Ludovic Lepeltier-Kutasi, Rachel Knabel, Claude Aubert)

3 – I dati qui forniti sono nostre rielaborazioni delle serie storiche 2000-2021 dello Statistisches Bundesamt di Wiesbaden (Destatis) acquisiti nel maggio 2023 (Vedi Tabella 8 in Appendice).

4La Germania vuole diventare attrattiva. La nuova legge sulla immigrazione e il disegno di legge sulla cittadinanza (Edith Pichler) – URL: https://www.neodemos.info/2023/06/23/la-germania-vuole-diventare-attrattiva-la-nuova-legge-sulla-immigrazione-e-il-disegno-di-legge-sulla-cittadinanza/

 

FONTE: https://fiei.it/?p=802

venerdì 15 settembre 2023

La nuova emigrazione italiana dall’inizio degli anni ’10 alla fine della pandemia. (1° Parte)




La nuova emigrazione italiana dagli anni ’10 fino alla pandemia. (1° Parte)

Negli ultimi anni si sono infittiti interventi e ricerche sulla nuova emigrazione italiana che è ripartita con la grande crisi del 2008-2011. Tuttavia la disponibilità e la diffusione di tanti contributi non sembra aver influito sul grado di attenzione prestata dalla politica e dalle istituzioni a questo fenomeno1. Forse perché è conveniente parlare solo di immigrazione o forse perché i flussi di emigrazione sono molto sottostimati nella loro entità e, se valutati per la loro reale dimensione, comporterebbero un giudizio inappellabile per molti degli attori in scena. La nostra ipotesi è che in poco più di un decennio si sia messo in movimento verso l’estero circa il 5% dell’intera popolazione del paese.

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di Rodolfo Ricci (FIEI)

 

Abbiamo messo a confronto i dati dei flussi emigratori registrati negli ultimi 13 anni (2010-2022) dall’Italia verso Germania e Gran Bretagna, secondo l’Istat e secondo gli enti di statistica tedeschi e inglesi. Tra il 20122 e il 20163 avevamo già effettuato analoghe comparazione per il periodo 2011-2015 quando questi due paesi erano stati i maggiori accettori di flussi migratori dall’Italia4. La possibilità di comparare i dati su un periodo più lungo, consente di confermare il trend già evidenziato e di rilevare, “grazie”all’effetto della Brexit sulla registrazione delle presenze in Gran Bretagna, la validità dell’ipotesi, a suo tempo formulata, che gli emigrati attendono generalmente un periodo di una certa variabilità, computabile anche in diversi anni, prima di cancellare la propria residenza in Italia e che dunque i flussi reali (e anche lo stock emigratorio all’estero) sono notevolmente superiori a quelli desumibili dall’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero).

Infatti la massiccia crescita di iscrizioni rilevata dall’AIRE per la Gran Bretagna negli anni 2020, 2021 e 2022, ha riguardato in gran parte persone che erano già presenti da anni sul territorio del Regno Unito ma non avevano mai cancellato la propria residenza in Italia. Mentre i dati raccolti dagli inglesi, come si evince dalla Tabella 1), danno invece conto di una riduzione effettiva degli arrivi a causa della pandemia.

 

 

La differenza annuale e complessiva tra dati Istat e dati locali è notevole: in 13 anni sono arrivate in Germania oltre 700mila persone dall’Italia (di cui circa l’85% italiani e circa il 15% di altre nazionalità). Mentre ne sono arrivati quasi mezzo milione in Gran Bretagna: i dati Istat rappresentano dunque soltanto una frazione molto ridotta dei reali movimenti avvenuti.

Il picco degli afflussi nei due paesi è stato raggiunto tra il 2014 e il 2019. Il 2015 è l’anno di maggior afflusso in Germania, con oltre 74mila arrivi, mentre per la Gran Bretagna è il 2016, con quasi 63mila arrivi.

Invece secondo i dati Istat il picco verso la Germania sarebbe stato raggiunto nel 2018 con oltre 20mila cancellazioni di residenza verso questo paese e il picco verso la Gran Bretagna sarebbe stato raggiunto nel 2020 (ma in realtà il motivo di questa discrepanza è legato come detto, all’evento Brexit). In entrambi i casi, tuttavia, dal 2013 al 2019 gli arrivi restano molto elevati e comparabili a quelli della seconda metà degli anni ‘60 del ‘900.

Gli anni 2020, 2021 e 2022 sono quelli in cui si manifesta l’impatto della pandemia da covid-19, con gli annessi lock-down e altre restrizioni ai movimenti internazionali, ma anche con la riduzione delle opportunità di lavoro in loco o di accesso alle misure sociali varate dai diversi governi, non acquisibili da coloro che operavano nel mondo del lavoro informale o a nero. In questi tre anni si è assistito dunque ad una consistente corrente di rientri, la cui entità è tuttavia di difficile valutazione avendo riguardato la parte totalmente nascosta della presenza all’estero, invisibile sia alle rilevazioni italiane che locali; alcune stime riconducono l’entità di questa presenza in Germania a circa il 20% del dato complessivo; che quindi dovrebbe essere aggiunto a quanto registrato dagli istituti tedeschi. Per la Gran Bretagna, la componente “nascosta” potrebbe essere stata percentualmente anche superiore.

Secondo l’Istat tra il 2018 e il 2022 vi è quasi un dimezzamento delle partenze verso la Germania. Mentre per le autorità tedesche, la riduzione negli arrivi è solo di circa un terzo e questo è un dato significativo perché indica che anche in un contesto complesso e incerto come quello pandemico, diverse decine di migliaia di persone hanno scelto comunque di intraprendere un loro progetto emigratorio, mente altre rientravano. Per la Gran Bretagna invece, emergerebbe, secondo i dati italiani, il paradosso che vi è addirittura un aumento delle partenze – anche consistente – proprio negli anni della pandemia; ma per gli istituti di rilevazione inglesi la flessione è più che chiara, come emerge dalla differenza negativa tra i dati italiani e quelli di oltremanica. Il dato più attendibile rispetto al movimento effettivo delle persone, in entrambi i casi è quello locale. Mentre quello italiano registra più un adempimento amministrativo piuttosto che l’effettiva partenza che, invece, può essere antecedente a quelli in cui si provvede a cancellare definitivamente la residenza in Italia.

La spiegazione della incongruenza tra le due colonne della tabella negli ultimi tre anni presi in considerazione (2020-2022) è la seguente: in Germania si è continuato a emigrare ritardando, come prassi consueta, la cancellazione della residenza in Italia, mentre in Gran Bretagna gli obblighi imposti dalla legislazione successiva alla Brexit per poter restare sul territorio del paese hanno convinto una notevole quantità di persone precedentemente arrivate (ma senza aver ancora cancellato la propria residenza in Italia), a farlo il più rapidamente possibile nei tre anni indicati. Il risultato è che in quest’ultimo periodo preso in considerazione le cancellazioni registrate dall’Aire risultano superiori agli arrivi registrati dalle autorità del Regno Unito. Ma si tratta di un’illusione ottica. In gran parte essi erano già presenti stabilmente sul territorio inglese da molti anni (mentre per le anagrafi dei comuni italiani non avevano mai lasciato il paese).

Un altro dato che conferma la diacronia nella registrazione dei flussi è la dimensione complessiva della presenza italiana in Gran Bretagna (stock emigratorio) che nel periodo 2017/2022 passa, secondo l’Aire, dai 283.855 ai 439.411. In nessun altro dei grandi paesi tradizionali mete migratorie italiane si registra un aumento così consistente in questo arco di tempo. Si tenga presente che al di là delle rilevazioni, in ripetute occasioni pubbliche, tra il 2017 e il 2019, la presenza complessiva degli italiani in Gran Bretagna venne effettivamente stimata da parte delle autorità locali (confermata dal Consolato di Londra) tra le 600 e le 700mila persone.5

Anche per questo si può affermare che la componente per anni invisibile e nascosta alle rilevazioni (sia italiane che locali) dovrebbe essere stata percentualmente superiore a quella stimata per la Germania.

Nella tabella seguente è evidenziata la variazione di presenza complessiva di italiani nei due paesi e, a seguire, in alcuni altri paesi di tradizionale approdo emigratorio.

 

 

Come si vede, l’aumento dello stock emigratorio complessivo negli anni indicati è stato, secondo l’AIRE, pari a 1.093.193 di persone. E bisogna tener presente che in questo dato sono comprese anche le decine di migliaia di riacquisizioni di cittadinanza (che riguardano essenzialmente i paesi dell’America Latina: Brasile, Argentina, Uruguay, ecc.).

Balza all’occhio che, considerando soltanto i movimento emigratori dall’Italia registrati come ingressi dagli istituti di statistica tedeschi e inglesi, raggiungiamo, per lo stesso periodo, la somma di 1.186.480, superiore quindi di 93.287 all’intero aumento registrato dall’AIRE per l’insieme dei maggiori paesi di emigrazione italiana nel mondo.

Se aggiungiamo la Svizzera, che nel decennio preso in considerazione è il terzo paese del continente per arrivi dall’Italia (in tutto il dopoguerra è stato il secondo), ci troviamo di fronte ad un ulteriore scarto tra dati italiani e dati locali.

Anche se i dati Svizzeri registrano l’arrivo delle persone “per nazionalità” (e non per paese di provenienza, come avviene in Germania e in Gran Bretagna) ed anche se il periodo che possiamo prendere in considerazione per la disponibilità dei dati al momento in cui scriviamo è di un anno in meno (2010-2021), si ripresenta una consistente differenza, un po’ più contenuta rispetto alle precedenti, ma che conferma che i flussi reali di emigrazione verso l’estero sono sempre superiori ai dati delle cancellazioni di residenza; in questo caso per un paese non U.E. in cui è relativamente più difficile stabilirsi rispetto ai paesi comunitari. La Tabella 3) che segue compara, come la precedente, i dati Istat con quelli locali svizzeri.

 

 

Da notare che la componente non italiana del flusso verso la Svizzera è abbastanza contenuta (circa il 6,71% del flusso totale, secondo i dati Istat) e quindi inferiore a quello di Germania e Gran Bretagna che corrispondono a circa1/6 dei flussi complessivi (per la Germania) e a circa 1/10 (per la Gran Bretagna).

Tuttavia, sommando i dati di ingresso registrati da Svizzera (2010-2021), Germania e Gran Bretagna (2010-2022) abbiamo il risultato di 1.378.791 arrivi rispetto ad una somma di cancellazioni di residenza italiane registrato dall’Aire (partenze verso i tre paesi) che è di 547.829.

Se ne può dedurre che i dati Istat per questi tre paesi hanno rappresentato solo il 40% dei flussi reali di espatrio. Anzi, molto probabilmente ancora meno, dal momento che i dati inglesi degli ultimi tre anni presi in considerazione (2019-2022) fanno lievitare per i motivi indicati (congiuntura Brexit) i numeri delle cancellazioni. Inoltre, come in ogni processo migratorio, vi è il numero di emigrazioni che sfugge sia ai dati italiani sia a quelli locali e riguarda le persone che non hanno necessità di registrare la loro presenza probabilmente perché occupate nel mercato del lavoro informale, lavoro nero e precario, di cui si è avuta qualche traccia nei rientri durante il periodo pandemico. Si stima che questa parte possa corrispondere mediamente ad un 15-20% del totale.

Tenendo conto anche di questa variabile il flusso emigratorio complessivo verso i tre paesi presi in considerazione si aggirerebbe tra 1,5 e 1,6 milioni di persone nei 13 anni che vanno dal 2010 al 2021.

Infine, volendo fare una proiezione dei flussi reali verso gli altri paesi (europei e extraeuropei) di cui non sono disponibili dati o serie storiche confrontabili analoghi a quelli presi in considerazione ma verso cui storicamente si è indirizzata l’emigrazione italiana raggiungeremmo facilmente i 2,5 milioni di emigrazioni di italiani e oltre 3 milioni complessivamente se vi includiamo anche i non italiani che hanno lasciato il paese.6

La possibilità che in 12 anni si sia messo in movimento verso l’estero circa il 5% dell’intera popolazione del paese dovrebbe suscitare qualche preoccupazione e alcune domande sugli effetti che questo numero di espatri ha su una serie di variabili e questioni in cui il paese si dibatte da anni: decremento demografico e spopolamento delle aree interne, basso tasso di attività della popolazione e tasso di occupazione (in particolare nelle fascia di età 15-54 anni), carenza di forza lavoro in diversi settori produttivi o di servizi sia pubblici che privati, tasso di crescita del PIL, indice di produttività e ricerca e sviluppo, sostenibilità del welfare e del sistema pensionistico, competitività generale del sistema paese, ecc..

La domanda centrale è: qual è il peso della nuova emigrazione rispetto al presente e al futuro dell’Italia ? E quali effetti duraturi comporterà, non solo nell’immediato, ma a medio e lungo termine ?

Tenendo presente la dimensione del fenomeno, che probabilmente è destinato a perpetuarsi (anche a fronte di un quadro globale in rapido mutamento) intorno a questo quesito dovrebbe svilupparsi una seria riflessione e una discussione che non ha senso rimandare ulteriormente: farla alla fine degli anni ‘20 sarebbe del tutto inutile.

 

 

(*) Rodolfo Ricci (F.I.E.I. – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione)

Agosto 2023

 

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NOTE:

1– Corrado Bonifazi, Frank Heins e Enrico Tucci – Dimensioni e caratteristiche della nuova emigrazione italiana – URL: https://journals.openedition.org/qds/4625

2 – R. Ricci – Intervento Conferenza su Immigrazione ed emigrazione, analogie e differenze: i modelli di insediamento (Brescia, 18 aprile 2012) – a cura di E. Castellano e C. Sorrentino – FDV-Ediesse 2013; URL in: https://www.FDV.it/immigr-ed-emigraz

3 – R. Ricci – Crisi europea e nuova emigrazione, in: Le nuove generazioni nei nuovi spazi e tempi delle migrazioni, di FILEF, a cura di Francesco Calvanese – Ediesse 2014; URL in: https://premioconti.org/crisi-europea-e-nuova-emigrazione

4 – M. Cevoli, R. Ricci – Le nuove migrazioni italiane – in: (E)migrazione e Sindacato, di FDV, a cura di Emanuele Galossi – Ediesse 2016; URL in: https://premioconti.org/nuove-emigrazioni-italiane

5 – Dichiarazioni nell’ambito dei ripetuti incontri tra tra Theresa May e Boris Johnson con il Ministro degli Esteri Alfano nel 2017 e 2018 – https://emigrazione-notizie.org/?p=28316 / https://emigrazione-notizie.org/?p=13700

6 – Utilizzando lo scostamento medio tra i dati italiani dell’Aire e quelli dei tre paesi (Germania, Gran Bretagna e Svizzera) nel periodo 2010-2021 (che è pari a + 2,56%) e utilizzando questo parametro come moltiplicatore da usare soltanto per gli altri paesi dell’area Europea occidentale, del nord America e dell’Oceania che hanno caratteristiche omogenee e capacità di attrazione analoghe (oltre ad alcuni paesi emergenti verso cui si indirizza una nuova emigrazione con caratteristiche omogenee, come quelli del Golfo, la Cina, Singapore, ecc.), si possono ottenere, a partire dai dati delle relative cancellazioni di residenza Istat i risultati indicati. Mentre per tutti gli altri paesi per i quali i movimenti emigratori verso l’estero sono riconducibili in gran parte al turn-over naturale dei rientri di immigrati precedentemente residenti in Italia (Europa dell’est, Africa, Asia, America Latina), si dovrebbe usare un moltiplicatore uguale a 1, cioè si userebbe integralmente il numero delle cancellazioni di residenza registrate in Italia. La somma tra la proiezione del primo gruppo e quelli del secondo – senza applicare alcuna proiezione -, danno il risultato indicato: 3,28 milioni di movimenti verso l’estero di cui circa 2,51 milioni quello degli italiani di passaporto nel periodo 2010-2021.

 

 

FONTE: https://fiei.it/?p=771