venerdì 15 settembre 2023

La nuova emigrazione italiana dall’inizio degli anni ’10 alla fine della pandemia. (1° Parte)




La nuova emigrazione italiana dagli anni ’10 fino alla pandemia. (1° Parte)

Negli ultimi anni si sono infittiti interventi e ricerche sulla nuova emigrazione italiana che è ripartita con la grande crisi del 2008-2011. Tuttavia la disponibilità e la diffusione di tanti contributi non sembra aver influito sul grado di attenzione prestata dalla politica e dalle istituzioni a questo fenomeno1. Forse perché è conveniente parlare solo di immigrazione o forse perché i flussi di emigrazione sono molto sottostimati nella loro entità e, se valutati per la loro reale dimensione, comporterebbero un giudizio inappellabile per molti degli attori in scena. La nostra ipotesi è che in poco più di un decennio si sia messo in movimento verso l’estero circa il 5% dell’intera popolazione del paese.

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di Rodolfo Ricci (FIEI)

 

Abbiamo messo a confronto i dati dei flussi emigratori registrati negli ultimi 13 anni (2010-2022) dall’Italia verso Germania e Gran Bretagna, secondo l’Istat e secondo gli enti di statistica tedeschi e inglesi. Tra il 20122 e il 20163 avevamo già effettuato analoghe comparazione per il periodo 2011-2015 quando questi due paesi erano stati i maggiori accettori di flussi migratori dall’Italia4. La possibilità di comparare i dati su un periodo più lungo, consente di confermare il trend già evidenziato e di rilevare, “grazie”all’effetto della Brexit sulla registrazione delle presenze in Gran Bretagna, la validità dell’ipotesi, a suo tempo formulata, che gli emigrati attendono generalmente un periodo di una certa variabilità, computabile anche in diversi anni, prima di cancellare la propria residenza in Italia e che dunque i flussi reali (e anche lo stock emigratorio all’estero) sono notevolmente superiori a quelli desumibili dall’AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all’estero).

Infatti la massiccia crescita di iscrizioni rilevata dall’AIRE per la Gran Bretagna negli anni 2020, 2021 e 2022, ha riguardato in gran parte persone che erano già presenti da anni sul territorio del Regno Unito ma non avevano mai cancellato la propria residenza in Italia. Mentre i dati raccolti dagli inglesi, come si evince dalla Tabella 1), danno invece conto di una riduzione effettiva degli arrivi a causa della pandemia.

 

 

La differenza annuale e complessiva tra dati Istat e dati locali è notevole: in 13 anni sono arrivate in Germania oltre 700mila persone dall’Italia (di cui circa l’85% italiani e circa il 15% di altre nazionalità). Mentre ne sono arrivati quasi mezzo milione in Gran Bretagna: i dati Istat rappresentano dunque soltanto una frazione molto ridotta dei reali movimenti avvenuti.

Il picco degli afflussi nei due paesi è stato raggiunto tra il 2014 e il 2019. Il 2015 è l’anno di maggior afflusso in Germania, con oltre 74mila arrivi, mentre per la Gran Bretagna è il 2016, con quasi 63mila arrivi.

Invece secondo i dati Istat il picco verso la Germania sarebbe stato raggiunto nel 2018 con oltre 20mila cancellazioni di residenza verso questo paese e il picco verso la Gran Bretagna sarebbe stato raggiunto nel 2020 (ma in realtà il motivo di questa discrepanza è legato come detto, all’evento Brexit). In entrambi i casi, tuttavia, dal 2013 al 2019 gli arrivi restano molto elevati e comparabili a quelli della seconda metà degli anni ‘60 del ‘900.

Gli anni 2020, 2021 e 2022 sono quelli in cui si manifesta l’impatto della pandemia da covid-19, con gli annessi lock-down e altre restrizioni ai movimenti internazionali, ma anche con la riduzione delle opportunità di lavoro in loco o di accesso alle misure sociali varate dai diversi governi, non acquisibili da coloro che operavano nel mondo del lavoro informale o a nero. In questi tre anni si è assistito dunque ad una consistente corrente di rientri, la cui entità è tuttavia di difficile valutazione avendo riguardato la parte totalmente nascosta della presenza all’estero, invisibile sia alle rilevazioni italiane che locali; alcune stime riconducono l’entità di questa presenza in Germania a circa il 20% del dato complessivo; che quindi dovrebbe essere aggiunto a quanto registrato dagli istituti tedeschi. Per la Gran Bretagna, la componente “nascosta” potrebbe essere stata percentualmente anche superiore.

Secondo l’Istat tra il 2018 e il 2022 vi è quasi un dimezzamento delle partenze verso la Germania. Mentre per le autorità tedesche, la riduzione negli arrivi è solo di circa un terzo e questo è un dato significativo perché indica che anche in un contesto complesso e incerto come quello pandemico, diverse decine di migliaia di persone hanno scelto comunque di intraprendere un loro progetto emigratorio, mente altre rientravano. Per la Gran Bretagna invece, emergerebbe, secondo i dati italiani, il paradosso che vi è addirittura un aumento delle partenze – anche consistente – proprio negli anni della pandemia; ma per gli istituti di rilevazione inglesi la flessione è più che chiara, come emerge dalla differenza negativa tra i dati italiani e quelli di oltremanica. Il dato più attendibile rispetto al movimento effettivo delle persone, in entrambi i casi è quello locale. Mentre quello italiano registra più un adempimento amministrativo piuttosto che l’effettiva partenza che, invece, può essere antecedente a quelli in cui si provvede a cancellare definitivamente la residenza in Italia.

La spiegazione della incongruenza tra le due colonne della tabella negli ultimi tre anni presi in considerazione (2020-2022) è la seguente: in Germania si è continuato a emigrare ritardando, come prassi consueta, la cancellazione della residenza in Italia, mentre in Gran Bretagna gli obblighi imposti dalla legislazione successiva alla Brexit per poter restare sul territorio del paese hanno convinto una notevole quantità di persone precedentemente arrivate (ma senza aver ancora cancellato la propria residenza in Italia), a farlo il più rapidamente possibile nei tre anni indicati. Il risultato è che in quest’ultimo periodo preso in considerazione le cancellazioni registrate dall’Aire risultano superiori agli arrivi registrati dalle autorità del Regno Unito. Ma si tratta di un’illusione ottica. In gran parte essi erano già presenti stabilmente sul territorio inglese da molti anni (mentre per le anagrafi dei comuni italiani non avevano mai lasciato il paese).

Un altro dato che conferma la diacronia nella registrazione dei flussi è la dimensione complessiva della presenza italiana in Gran Bretagna (stock emigratorio) che nel periodo 2017/2022 passa, secondo l’Aire, dai 283.855 ai 439.411. In nessun altro dei grandi paesi tradizionali mete migratorie italiane si registra un aumento così consistente in questo arco di tempo. Si tenga presente che al di là delle rilevazioni, in ripetute occasioni pubbliche, tra il 2017 e il 2019, la presenza complessiva degli italiani in Gran Bretagna venne effettivamente stimata da parte delle autorità locali (confermata dal Consolato di Londra) tra le 600 e le 700mila persone.5

Anche per questo si può affermare che la componente per anni invisibile e nascosta alle rilevazioni (sia italiane che locali) dovrebbe essere stata percentualmente superiore a quella stimata per la Germania.

Nella tabella seguente è evidenziata la variazione di presenza complessiva di italiani nei due paesi e, a seguire, in alcuni altri paesi di tradizionale approdo emigratorio.

 

 

Come si vede, l’aumento dello stock emigratorio complessivo negli anni indicati è stato, secondo l’AIRE, pari a 1.093.193 di persone. E bisogna tener presente che in questo dato sono comprese anche le decine di migliaia di riacquisizioni di cittadinanza (che riguardano essenzialmente i paesi dell’America Latina: Brasile, Argentina, Uruguay, ecc.).

Balza all’occhio che, considerando soltanto i movimento emigratori dall’Italia registrati come ingressi dagli istituti di statistica tedeschi e inglesi, raggiungiamo, per lo stesso periodo, la somma di 1.186.480, superiore quindi di 93.287 all’intero aumento registrato dall’AIRE per l’insieme dei maggiori paesi di emigrazione italiana nel mondo.

Se aggiungiamo la Svizzera, che nel decennio preso in considerazione è il terzo paese del continente per arrivi dall’Italia (in tutto il dopoguerra è stato il secondo), ci troviamo di fronte ad un ulteriore scarto tra dati italiani e dati locali.

Anche se i dati Svizzeri registrano l’arrivo delle persone “per nazionalità” (e non per paese di provenienza, come avviene in Germania e in Gran Bretagna) ed anche se il periodo che possiamo prendere in considerazione per la disponibilità dei dati al momento in cui scriviamo è di un anno in meno (2010-2021), si ripresenta una consistente differenza, un po’ più contenuta rispetto alle precedenti, ma che conferma che i flussi reali di emigrazione verso l’estero sono sempre superiori ai dati delle cancellazioni di residenza; in questo caso per un paese non U.E. in cui è relativamente più difficile stabilirsi rispetto ai paesi comunitari. La Tabella 3) che segue compara, come la precedente, i dati Istat con quelli locali svizzeri.

 

 

Da notare che la componente non italiana del flusso verso la Svizzera è abbastanza contenuta (circa il 6,71% del flusso totale, secondo i dati Istat) e quindi inferiore a quello di Germania e Gran Bretagna che corrispondono a circa1/6 dei flussi complessivi (per la Germania) e a circa 1/10 (per la Gran Bretagna).

Tuttavia, sommando i dati di ingresso registrati da Svizzera (2010-2021), Germania e Gran Bretagna (2010-2022) abbiamo il risultato di 1.378.791 arrivi rispetto ad una somma di cancellazioni di residenza italiane registrato dall’Aire (partenze verso i tre paesi) che è di 547.829.

Se ne può dedurre che i dati Istat per questi tre paesi hanno rappresentato solo il 40% dei flussi reali di espatrio. Anzi, molto probabilmente ancora meno, dal momento che i dati inglesi degli ultimi tre anni presi in considerazione (2019-2022) fanno lievitare per i motivi indicati (congiuntura Brexit) i numeri delle cancellazioni. Inoltre, come in ogni processo migratorio, vi è il numero di emigrazioni che sfugge sia ai dati italiani sia a quelli locali e riguarda le persone che non hanno necessità di registrare la loro presenza probabilmente perché occupate nel mercato del lavoro informale, lavoro nero e precario, di cui si è avuta qualche traccia nei rientri durante il periodo pandemico. Si stima che questa parte possa corrispondere mediamente ad un 15-20% del totale.

Tenendo conto anche di questa variabile il flusso emigratorio complessivo verso i tre paesi presi in considerazione si aggirerebbe tra 1,5 e 1,6 milioni di persone nei 13 anni che vanno dal 2010 al 2021.

Infine, volendo fare una proiezione dei flussi reali verso gli altri paesi (europei e extraeuropei) di cui non sono disponibili dati o serie storiche confrontabili analoghi a quelli presi in considerazione ma verso cui storicamente si è indirizzata l’emigrazione italiana raggiungeremmo facilmente i 2,5 milioni di emigrazioni di italiani e oltre 3 milioni complessivamente se vi includiamo anche i non italiani che hanno lasciato il paese.6

La possibilità che in 12 anni si sia messo in movimento verso l’estero circa il 5% dell’intera popolazione del paese dovrebbe suscitare qualche preoccupazione e alcune domande sugli effetti che questo numero di espatri ha su una serie di variabili e questioni in cui il paese si dibatte da anni: decremento demografico e spopolamento delle aree interne, basso tasso di attività della popolazione e tasso di occupazione (in particolare nelle fascia di età 15-54 anni), carenza di forza lavoro in diversi settori produttivi o di servizi sia pubblici che privati, tasso di crescita del PIL, indice di produttività e ricerca e sviluppo, sostenibilità del welfare e del sistema pensionistico, competitività generale del sistema paese, ecc..

La domanda centrale è: qual è il peso della nuova emigrazione rispetto al presente e al futuro dell’Italia ? E quali effetti duraturi comporterà, non solo nell’immediato, ma a medio e lungo termine ?

Tenendo presente la dimensione del fenomeno, che probabilmente è destinato a perpetuarsi (anche a fronte di un quadro globale in rapido mutamento) intorno a questo quesito dovrebbe svilupparsi una seria riflessione e una discussione che non ha senso rimandare ulteriormente: farla alla fine degli anni ‘20 sarebbe del tutto inutile.

 

 

(*) Rodolfo Ricci (F.I.E.I. – Federazione Italiana Emigrazione Immigrazione)

Agosto 2023

 

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NOTE:

1– Corrado Bonifazi, Frank Heins e Enrico Tucci – Dimensioni e caratteristiche della nuova emigrazione italiana – URL: https://journals.openedition.org/qds/4625

2 – R. Ricci – Intervento Conferenza su Immigrazione ed emigrazione, analogie e differenze: i modelli di insediamento (Brescia, 18 aprile 2012) – a cura di E. Castellano e C. Sorrentino – FDV-Ediesse 2013; URL in: https://www.FDV.it/immigr-ed-emigraz

3 – R. Ricci – Crisi europea e nuova emigrazione, in: Le nuove generazioni nei nuovi spazi e tempi delle migrazioni, di FILEF, a cura di Francesco Calvanese – Ediesse 2014; URL in: https://premioconti.org/crisi-europea-e-nuova-emigrazione

4 – M. Cevoli, R. Ricci – Le nuove migrazioni italiane – in: (E)migrazione e Sindacato, di FDV, a cura di Emanuele Galossi – Ediesse 2016; URL in: https://premioconti.org/nuove-emigrazioni-italiane

5 – Dichiarazioni nell’ambito dei ripetuti incontri tra tra Theresa May e Boris Johnson con il Ministro degli Esteri Alfano nel 2017 e 2018 – https://emigrazione-notizie.org/?p=28316 / https://emigrazione-notizie.org/?p=13700

6 – Utilizzando lo scostamento medio tra i dati italiani dell’Aire e quelli dei tre paesi (Germania, Gran Bretagna e Svizzera) nel periodo 2010-2021 (che è pari a + 2,56%) e utilizzando questo parametro come moltiplicatore da usare soltanto per gli altri paesi dell’area Europea occidentale, del nord America e dell’Oceania che hanno caratteristiche omogenee e capacità di attrazione analoghe (oltre ad alcuni paesi emergenti verso cui si indirizza una nuova emigrazione con caratteristiche omogenee, come quelli del Golfo, la Cina, Singapore, ecc.), si possono ottenere, a partire dai dati delle relative cancellazioni di residenza Istat i risultati indicati. Mentre per tutti gli altri paesi per i quali i movimenti emigratori verso l’estero sono riconducibili in gran parte al turn-over naturale dei rientri di immigrati precedentemente residenti in Italia (Europa dell’est, Africa, Asia, America Latina), si dovrebbe usare un moltiplicatore uguale a 1, cioè si userebbe integralmente il numero delle cancellazioni di residenza registrate in Italia. La somma tra la proiezione del primo gruppo e quelli del secondo – senza applicare alcuna proiezione -, danno il risultato indicato: 3,28 milioni di movimenti verso l’estero di cui circa 2,51 milioni quello degli italiani di passaporto nel periodo 2010-2021.

 

 

FONTE: https://fiei.it/?p=771

 

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